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ZEROGRAMMI

ELEGìA
DELLE
COSE
PERDUTE

UNA
GENESI

Ispirato a Os pobres, romanzo aspro e doloroso dello scrittore e storico portoghese Raul Brandão, Elegìa delle cose perdute è un articolato progetto coreografico che ha impegnato la compagnia Zerogrammi lungo tre anni di processo artistico ospite, in Sardegna, del programma di residenze Artisti nei territori / Interconnessioni.

Nell'articolata traiettoria creativa che ha condotto alla creazione la compagnia, seguendo una modalità di lavoro consolidata negli anni, ha interrogato territori, contesti e linguaggi diversi collezionando un archivio vivo di materiali e testimonianze che hanno nutrito il corpo danzante con segni e ispirazioni non solo di natura coreutica ma provenienti da vocabolari altri (arti plastiche, video, fotografia, letteratura) e da un’esperienza del mondo che si sostanzia nella relazione con luoghi e persone fuori dai contenitori convenzionali del teatro. Ne sono nate quattro differenti declinazioni, l’una interconnessa all’altra: nell’ordine un pluripremiato mediometraggio, uno spettacolo, un libro fotografico arricchito da un testo inedito di Eugenio Barba e infine un progetto di comunità che, accompagnando la fruizione dello spettacolo, prosegue e moltiplica il dialogo con sempre nuovi territori e comunità.

  • In un mondo oltremodo cupo, fatto essenzialmente di rassegnazione e disagio, di domande esistenziali insolute ed estrema deprivazione, i personaggi del romanzo di Brandão, segregati all’interno della miseria più nera come i detenuti di quel carcere che sembra essere la vita, mettono in scena una lenta processione di riflessioni amare dalle quali trarre infine una legge generale che regola il caduco tragitto dell’uomo: i vivi non hanno altro scopo che morire e infine diventare humus, concime a nutrimento dei vermi e della Terra che nonostante tutto continua a girare. Scritto nel Portogallo dell’inizio del Novecento, una nazione alle prese con l’inevitabile fallimento del suo progetto coloniale, con le conseguenze di una pauperizzazione interna sempre crescente e con il disfacimento dei bei progetti della moderna urbanizzazione, I poveri è un romanzo aspro e doloroso che non lascia spazio ai buoni sentimenti né ai desideri di salvezza: gli uomini sono dannati, i poveri soprattutto, i più indigenti; sono abitanti delle latebre che stanno fuori, all’aria aperta di un cielo che pesa come un coperchio, e di quelle che stanno dentro, nell’animo di ognuno.

     

    Segua la vita il suo corso splendido. Sa di sogno e di ferro. E’ tenerezza, disgrazia, disperazione. Ci prende, ci trascina, ci spinge, ci riempie di illusione, ci disperde per ogni angolo del globo. Ci ammacca. Ci solleva. Ci stordisce. Ci protegge. Ci infradicia nello stesso vortice di fango. Ci uccide. Però, anche solo per un momento, ci obbliga a guardare in alto e fino alla fine rimaniamo con gli occhi intontiti. Raul Brandao

     

    In Elegìa delle cose perdute il paesaggio evocato dal riferimento letterario di Brandao, in bilico tra sogno e realtà, ha la forma dell’esilio, della nostalgia, della tedesca sehnsucht, della memoria come materia che determina la traccia delle nostre radici e identità e, al contempo, la separazione da esse e il sentimento di esilio morale che ne scaturisce: sogno di ritorni impossibili, rabbia di fronte al tempo che annienta, commiato da ciò che è perduto e che ha scandito la mappa del nostro viaggio interiore. Nell’indagine intorno al topos dell’esilio, si racconta, oltre il suo significato geografico, la condizione morale che riguardi chiunque possa sentirsi estraneo al mondo in cui vive, collocandolo in uno stato di sospensione tra passato e futuro, speranza e nostalgia. Il desiderio che questa condizione reca in sé non è tanto il desiderio di un’eternità immobile quanto di genesi sempre nuove e di un luogo che resta, un luogo dove essa si anima di una rinascita che è materia viva, e aiuta a resistere, a durare, a cambiare. I quadri che compongono la narrazione diventano la mappa di un viaggio nei luoghi (interiori) dei personaggi de Os Pobres: figure derelitte e però goffe al limite del clownesco, accomunate dal medesimo sentimento di malinconica nostalgia e desiderio di riscatto. Lo spazio che intercorre tra l’osservatore e queste storie (e tra queste storie e il sogno condiviso cui tendono) è una lontananza dal sapore leopardiano, la misura di un finibusterrae che è senso di precarietà, di sospensione nel vuoto, una grottesca parata di figure in transito, come clown di un teatro popolare che fiorisce da un anelito comune, che non ha bisogno di orpelli per accadere, che si racconta ovunque, in un prato, in un vicolo, un cortile, un qualunque luogo di vita (M. Augé), una stazione di posta di fronte al giorno che finisce, con i suoi orizzonti, le sue lontananze, i desideri proiettati al domani e i punti di fuga. Corpi e paesaggio dialogano in questa elegìa del vuoto che rimane, si riconoscono in un desiderio comune, una capriola del pensiero, in un incedere che è vertigine, abbandono al tempo sospeso e ciclico di un valzer, forma di una tristezza nostalgica nel suo incedere ciclico e sospeso, che chiede di essere celebrata, attraversata, dentro un desiderio non già di possesso ma di appartenenza. Ed ecco che dentro questa logica di colpo svanisce ogni idea di miseria o povertà possibile, non esiste più niente che possa essere davvero perduto.

  • SUDURNESjA MAGASIN ICELAND // Zerogrammi + Bepart 2023
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    Festival Conformazioni // Michele Pecorino intervista Stefano Mazzotta per il suo film "Elegìa delle cose perdute"
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    Elegy Of Lost Things Short Film // Audience Feedback from March 2022 Experimental Film Festival
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    NUOVO CONTATTO // teaser
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    ELEGìA DELLE COSE PERDUTE // behind the scenes
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    ELEGìA DELLE COSE PERDUTE // behind the scenes
    ELEGIA DELLE COSE PERDUTE // IN SCENA
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    ELEGIA DELLE COSE PERDUTE // IN SCENA
    PH. S. MAZZOTTA, R. CARBONI, R. CECCHINI, U. DOLCINI, F. ZEDDA, A. COVA, F. FALEO, G. SAVANT, G. CASAMENTI, C. MAMMANA
    ELEGIA // SARDEGNA 2020
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    ELEGIA // SARDEGNA 2020
    PH. S. MAZZOTTA
    ELEGìA DELLE COSE PERDUTE // trailer film
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    ELEGìA DELLE COSE PERDUTE // trailer film
    INTERCONNESSIONI 2020 // docufilm
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    ELEGìA DELLE COSE PERDUTE // behind the scenes (sottotitolato)
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    ELEGìA DELLE COSE PERDUTE // behind the scenes (sottotitolato)
    RESIDENZE ARTISTICHE INTERCONNESSIONI 2020 | ELEGIA DELLE COSE PERDUTE // intervista a Stefano Mazzotta
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    ELEGIA // TUSCANIA 2019
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    ELEGIA // TUSCANIA 2019
    PH. S. MAZZOTTA
    ELEGìA // MAKING OF
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    ELEGìA // MAKING OF
    PH. A. MATHIEU
    INTERCONNESSIONI 2018 // docufilm
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    INTERCONNESSIONI 2018 // docufilm

UNO
SPETTACOLO

(...) Stefano Mazzotta mette in scena un’opera di pura poesia, sprigionata da una comunità derelitta, esiliata, portatrice d’inquietudini, di desideri, di aspirazioni, di ricerca e attaccamenti alle proprie radici, di abbandono e di speranza.

Giuseppe Distefano | Cittanuova

Attraverso capriole del pensiero, simbolismi a volte blandi a volte duri come consunte suole di scarpe sotto i denti, l’Elegia delle cose perdute ricuce sulla pelle del pubblico le amicizie, gli amori, i dissapori, le morti e le vite di questi simulacri di umanità spaiati e manchevoli.


Francesco Chiaro | Persinsala

Un clima intenso, ricco di suggestione, con corpi che dialogano fra loro e col pubblico. Una storia che si dipana fra personaggi in lotta contro un avverso destino, ma uniti dalla condivisione dell’avventura esistenziale.


Sandro Allegrini | Perugiatoday

(...) Elegìa delle cose perdute riesce con grande poesia a restituirci l’anima del libro di Brandao, delle classi povere rurali, dei semplici, ma ci ricorda anche da dove veniamo, da quale realtà povera e contadina sorga questo paese ora arrogante nel sentirsi ricco e civile, vincente anche quando cor- roso dalle miserie, totalmente sradicato perché incapace di ricordate per cosa ha combattuto e su quali ceneri è risorto.

 

Enrico Pastore | Il Pickwick

Incedono solennemente, con calma e rispetto, attirati dal desiderio di non essere più soli. Conmovenze  delicate, quasi fragili nella loro dolcezza, danno vita a scene che si scompongono e ricompongono al ritmo di una musica e delle ambientazioni sonore che riportano ad un passato autentico, ruvido.
 

Letizia Mologni | Albanoarte Teatro

Elegia delle cose perdute è l’emblema di una poetica attenta alla realtà circostante. Arricchita dalle storie de “I Poveri”, uomini pervasi da mancanze e desideri dal romanzo del portoghese Raul Brandao, l’opera diventa anche sorprendentemente attuale, offrendo uno spaccato, indiretto e interessante, delle privazioni e delle speranze di oggi.

Daria Chiappe | Danzasi

  • Benedetti siano gli istanti e i millimetri e le ombre delle piccole cose.

    Fernando Pessoa

     

    Questa è la storia tragicomica di una famiglia di anime: povere, derelitte, humus del mondo (R. Brandao). Abiti logori, dai toni della terra, coprono malamente la pelle livida, cerea al punto che l’ultima luce del tramonto sembra farla risplendere d’oro. Le loro storie, pur differenti nelle forme di esilio cui sono assoggettate, sono accomunate da un medesimo sentimento di vuoto, generato da un’assenza inesorabile e da una contingenza di miseria nera che s’inscrive in un presente senza soluzione di continuità, di una tristezza clownesca e tenera. Di tanto in tanto li accompagna l’eufonia minore di canti semplici e popolari sussurrati al cielo di notte o l’incedere malinconico di un valzer nostalgico. Ciò che resta delle loro azioni, dei loro sforzi inutili è racconto di un sentimento di cose perdute. Tra di loro vive, sospeso sul limitare di questo spazio scenico che ha i colori di una stazione di posta, un poeta il cui nome è Gabirù. Tutto ciò che è per loro confine senza appiglio di uno scoglio, argine, compimento, conclusione, per il poeta è l’iperbole da un qui e ora che è inizio, sconfinamento, invito al viaggio, all’attraversamento, alla metamorfosi. Dal limitare del presente, le parole di Gabirù muoveranno i compagni di scena oltre il purgatorio della dimenticanza e del rumore, dentro un tempo poetico, silenzioso, non più lontano ma vivibile, transitabile. Una nostalgia di cose mai state, di una piccola patria mai perduta, il luogo di una memoria inventata, un passato, un presente, un futuro pensati sulle figure di questa invenzione. Le parole e la danza del poeta tracciano l’iperbole verso il riscatto di una terra promessa. Dove si può andare senza mai arrivare attraversando un desiderio, una capriola del pensiero, una spirale del cuore, una siepe-confine di leopardiana memoria, da cui poter contemplare la bellezza disarmante dell’infinito.

  • soggetto, regia e coreografia / subject, direction and choreography Stefano Mazzotta | una riscrittura da / a rewrite from Os Pobres di / by Raul Brandao | creato con e interpretato da / created with and interpreted by Alessio Rundeddu, Amina Amici, Damien Camunez, Gabriel Beddoes, Manuel Martin, Chiara Guglielmi, Riccardo Micheletti | collaborazione alla drammaturgia / collaboration to the dramaturgy Anthony Mathieu, Fabio Chiriatti | luci / lights Tommaso Contu | assistente di scena / stage assistant Riccardo Micheletti | costumi e scene / sets and costumes Stefano Mazzotta | segreteria di produzione / production assistant Maria Elisa Carzedda | produzione / production Zerogrammi | coproduzione / coproduction Festival Danza Estate - Bergamo (It), La meme balle – Avignon (Fr), La Nave del Duende - Caceres (Sp) | con il contributo di / with the contribution of Residenza artistica artisti sul territorio INTERCONNESSIONI / Tersicorea / Sardegna, Comune di Settimo S. Pietro, Comune di Selargius, Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Cagliari e le Province di Oristano e Sud Sardegna, Regione Sardegna, Regione Piemonte, MIC - Ministero della Cultura, FONDAZIONE Banco di Sardegna | in collaborazione con/in collaboration with CASA LUFT, Ce.D.A.C Sardegna - centro diffusione attività culturali circuito multidisciplinare dello spettacolo dal vivo, PERIFERIE ARTISTICHE - Centro di Residenza Multidisciplinare della Regione Lazio - Supercinema, Tuscania

UN
FILM D'ARTE

Il cielo, il sole, la luna, le case all’imbrunire, i piedi inquadrati mentre passano sempre davanti alle stesse porte, la donna che piange , le danze collettive animano dall’interno un paesaggio pieno di bellezza quanto lontano da estetismi di maniera: un montaggio  figlio del corpo narrante.


Francesca Pedroni | Il Manifesto

(...) Opera di grande maturità estetica. (...) Mazzotta spiega che il tempo fermo dei personaggi ripete la dimensione fotografica della natura dei ricordi: ed è un modo di trattenere, in fondo, ciò che appare rétro, mentre è soltanto in ritardo.

 

Stefano Tomassini | Artribune

It’s a masterful piece, having the structure of a dance film without spoken words, and also of a narrative feature film inspired by Os Pobres, a novel by Rau Brandäo. We find feelings of exile, loss, decadence, remembrance, nostalgia, even humor. Dance theater is emotively interpreted, reminding of Pina Bausch’s taste. The photographs and images are composed in a very fine artistically way, making definitely a grand scale classic Italian film.


The Giury | Riff Festival Norway 2022

(...) Out of all 29 films, the highlight of this year’s PDFF is the Italian film Elegy of Lost Things, a stunning 48-minute art piece depicting life in a rural town. (...) The 48-minute-long film views like an arthaus flick and delivers stunning performances in both dance and acting from the cast. The choreography is as wonderfully subtle and asymetrical as the shot choices and the coloring, which adds a realistic sun-bleached haze over the quietly riveting story. Elegy of Lost Things is impeccable in its versatility, offering humour, tragedy, family drama, mundanity, camaraderie, joy, and melancholy all in one. With thematic nods to Pina Bausch’s The Nelken Line, it is a revelation of a dance film that should not be missed, the best since the works of Édouard Lock’s La La La Human Stepsand the beloved 1991 Reines d’un Jour (Queens for a Day) by Swiss director Pascal Magnin.


Amy Leona Havin | OREGON ARTSWATCH

Un affresco verista con al centro un’umanità derelitta. Stilemi che rimandano a Dostoevskij e si intrecciano alla poetica di Grazia Deledda. (…) Paesaggi panoramici e umani alla Isabel Allende. Volti segnati dal logorio della vita. Primissimi piani e panoramiche alla Sergio Leone. (…) Un inno alla vita che non sconfessa la morte. “Elegia delle cose perdute” è un fiume di lacrime, di grida, di mistero. L’onda nuvolosa mette a nudo le radici più profonde. Il torrente porta con sé sventure e risa; senza posa, trascina questa terra umana verso una spiaggia dove le mani squallide di chi ha soVerto trovano finalmente la mano che le sostiene. Dove gli occhi dei poveri, che ne hanno abbastanza di piangere, si stupiscono all’alba eterna, dove il sogno diventa realtà.
 

Vincenzo Sardelli | KLP

  • Non sono niente.

    Non sarò mai niente.

    Non posso voler essere niente.

    A parte ciò, ho in me tutti i sogni del mondo.

    Fernando Pessoa

     

    Una Sardegna ispida e polverosa. Una danza rocciosa come le montagne, spoglia come i rami secchi degli alberi e gli arbusti arsi da un sole abbacinante. Il tempo logora le architetture e spopola i borghi. Scalfisce i muri, da cui si staccano calcinacci ingialliti. Scrosta infissi e serramenti. Il tempo è polvere. Si accumula nelle case vuote. Si sedimenta sugli oggetti fossilizzandoli. Il tempo è un sasso nelle mani di un anziano, levigato dagli elementi. (...) Il crepitio dei passi. Il fruscio delle scarpe sul selciato. Il fragore secco della terra dissodata da una vanga. Il vibrare caldo delle corde della chitarra. Lo stridore avvolgente dell’archetto sulle corde di viole e violini. Una danza lenta e sofferta. Il sogno di un pazzo. Il delirio di un clown. Il dolore sconnesso di una donna vestita di nero. Figure dall’incedere meccanico, dallo sguardo assente come i personaggi di Kantor, perennemente sul crinale tra vita e morte. Il pianto. Una nostalgia muta, che fuoriesce attraverso il corpo, con coreografie anchilosate fatte di spasimi e sincopi. Il paesaggio nuragico della Sardegna è orizzonte inaridito e abbandonato. In questa terra delle anime desolate la telecamera rimane ferma. Ci consegna un romanzo fotografico a quadri. La tavolozza dei colori è tenue. I piani lunghi e lunghissimi si stagliano su un orizzonte drammatico tanto più inquieto quanto più in contrasto con la luminosità di questo Sud mediterraneo, rupestre, preistorico. L’occhio fermo, frontale, della macchina da presa, indaga i colori e ne lascia inalterato il mistero. Il mare delle cinque del mattino. Il vento dirompente di un ferragosto riarso. Queste creature appartengono alla morte. Annusano la propria decomposizione. Ma non sanno razionalizzarla. Non trovano requie. Un senso d’esilio pervade le coreografie di personaggi irrelati, irrisolti, che trovano un’idea di vicinanza e di comunità al contatto con l’acqua, sinonimo d’annegamento, allegoria di naufragio, invito all’attraversamento, simbolo di rinascita. Il mare fa tutt’uno della vita e della morte. Avvia la risurrezione di corpi fermi come le inquadrature, dopo un’ultima cena dove anche il cibo è celebrazione dell’assenza. Costumi e oggetti antichi. Tutto è fisso: il dolore, gli sguardi, i ricordi, la danza. Donne smarrite ed esiliate. Uomini disarticolati e disintegrati. Tutti hanno un lutto da elaborare. Piangono le cose le persone, sé stessi. Sono zombie nella penombra. Celebrano il proprio funerale prima di scavarsi la fossa con le proprie mani. Stefano Mazzotta, scuole Koreja e Paolo Grassi, artista multimediale in assiduità con il “terzo teatro”, interseca danza coreutica, letteratura, fotografia e arti plastiche. E trova il pharmakon nella ferita stessa. I danzatori metabolizzano la propria morte quando ne diventano coscienti. La superano nella coralità che conforta il dolore. Danno forma a una danza unanime, dove coesistono magia e follia. Un naufragio in un Sud ancestrale. Una viaggio che ricorda “Miracolo a Milano”, ma anche il sogno di un matto in “Train de vie”. Paesaggi panoramici e umani alla Isabel Allende. Volti segnati dal logorio della vita. Primissimi piani e panoramiche alla Sergio Leone. Il trito “Valzer n° 2” di Shostakovich avvia una danza corale spigolosa, ncora più suggestiva perché inquadrata dall’alto. Svasata. Mai a tempo con la musica. Ed è proprio nel dinamismo che ne deriva che fa capolino il riscatto di questo Sud rurale e selvatico refrattario ai percorsi turistici, come araba Fenice pronto a risorgere dalle proprie ceneri.
    Un inno alla vita che non sconfessa la morte. “Elegia delle cose perdute” è un fiume di lacrime, di grida, di mistero. L’onda nuvolosa mette a nudo le radici più profonde. Il torrente porta con sé sventure e risa; senza posa, trascina questa terra umana verso una spiaggia dove le mani squallide di chi ha soVerto trovano finalmente la mano che le sostiene. Dove gli occhi dei poveri, che ne hanno abbastanza di piangere, si stupiscono all’alba eterna, dove il sogno diventa realtà.
     

    da una recensione di Vincenzo Sardelli per KLP

  • una riscrittura da / a rewrite from Os Pobres di / by Raul Brandao | soggetto, regia e coreografie / project, direction and choreographies Stefano Mazzotta | co-regia / co-direction Massimo Gasole | progetto realizzato con il contributo di / project realized with the contribution of Interconnessioni (residenze artistiche in Sardegna – direzione Simonetta Pusceddu / Tersicorea - ai sensi dell’intesa Stato-Regioni sancita il 21.09.2017 e in attuazione dell’articolo 43 del D.M. 27.07.2017) | creato con e interpretato da / created with and interpreted by Alessio Rundeddu, Amina Amici, Damien Camunez, Gabriel Bedoes, Manuel Martin, Miriam Cinieri, Lucrezia Maimone, Simone Zambelli | e con / and with Sara Angius, Elisa Zedda | con la partecipazione speciale di / special guests Antonio Piovanelli, Bonaria Ghidoni, Loredana Parrella | collaborazione alla drammaturgia / collaboration to the dramaturgy Fabio Chiriatti, Anthony Mathieu | operatori di ripresa / camera operators Massimo Gasole, Damiano Picciau | riprese aeree / aerial shots Alberto Masala | montaggio / editing Massimo Gasole | foley soundesign, mix audio Emanuele Pusceddu | color grading e direttore della fotografia / color grading and director of photography Damiano Picciau | trucco e parrucco / make up Federica Li | costumi e scene / costumes and sets Stefano Mazzotta | luci / lights Tommaso Contu | segreteria di produzione / production assistant Maria Elisa Carzedda | produzione / production Zerogrammi | in collaborazione con / in collaboration with Tersicorea_Officina delle arti sceniche, Illador Films, Casa Luft, Arca del tempo, Festival Danza Estate, C.ie La meme balle, La nave del duende | con il contributo di / with the contribution of Twain _ periferie artistiche_centro di residenza della Regione Lazio | con il sostegno di / with the support of Mic, Regione autonoma della Sardegna, Regione Piemonte, Fondazione di Sardegna, Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Cagliari e le provincie di Oristano e Sud Sardegna, Comune di Settimo San Pietro, Comune di Selargius, Comune di Quartucciu, Ce.D.A.C Sardegna_circuito multidisciplinare dello spettacolo dal vivo | luoghi / locations Galleria Rifugio Don Bosco_sec. XVIII (Cagliari), Casa Baldussi (Settimo San Pietro), Casa Pilleri (Settimo San Pietro), Casa Comunale Dessy (Settimo San Pietro), Casa privata Dessy (Settimo San Pietro), Stagno di Sal’e Porcu (Oristano), Spiaggia di Kal’e Moru (Geremeas/Quartu Sant’Elena), Parco Archeologico Cuccuru Nuraxi (Settimo San Pietro), Casa campidanese Zuddas di Angelo e Sara Fadelli (Dolianova) | un ringraziamento a / thanks to Elisabetta Milia, Alessandro Baldussi, Sandro Perra, Raffaele Lai, Angelo e Sara Fadelli, Salvatore Medda, Valentina Tibaldi, Silvia Battaglio, Cooperativa Specus, Cooperativa Bios

UN LIBRO
FOTOGRAFICO

Si apre, nella traiettoria di creazione di Elegìa delle cose perdute,  un minuscolo progetto editoriale battezzato STORIEDIVENTO. Il suo scopo è generare uno spazio di condivisione del copioso materiale fotografico e di ricerca che i processi creativi di Zerogrammi sovente collezionano. Primo capitolo di questo progetto è proprio la pubblicazione ELEGìA DELLE COSE PERDUTE_un diario fotografico. Vi partecipano, a compendio di una selezione di scatti realizzati dal coreografo Stefano Mazzotta nel corso delle residenze di creazione dello spettacolo, i contributi di Simonetta Pusceddu, Anthony Mathieu e del M°Eugenio Barba.

A FUTURA MEMORIA è un’azione corale per spazi non convenzionali, un processo partecipativo transculturale e intergenerazionale, uno spazio di condivisione intorno ai temi dell’identità e dell’appartenenza, della memoria e delle relazioni, attraversati, condivisi ed elaborati in un percorso di pratica del movimento e della danza. Il programma, nato in seno al progetto coreografico Elegìa delle cose perdute, accompagna i progetti coreografici della compagnia che diventano, nella relazione con comunità e territori diversi, strumento di riflessione intorno a temi comuni che declinano in sè i concetti di identità, radici, memoria e futuro. La pratica del movimento come strumento di indagine e spazio di relazione ed espressione personale diventa viatico di una cultura di prossimità come investimento sulla qualità di vita della persona, sul sostegno e valorizzazione di territori, culture, unicità, favorendo consapevolezza circa identità e diritti individuali, civili, sociali. Il corpo emotivo e fisico di ognuno di noi è archivio vivente di esperienze. Il percorso si propone di costruire nuove narrative alle quali le comunità possano aderire ponendo in atto processi di collaborazione eterofili e inclusivi. Ogni corpo è un diario, un archivio di memorie, ognuna delle quali determina ciò che siamo, le vie e la qualità del nostro muoverci e comunicare. Possiamo imparare a leggere attraverso questi “modi”, provare a danzarli e lasciare che raccontino il ricco vocabolario della nostra storia.

UN PROGETTO DI COMUNITÀ

CONTATTI

informazioni generali

info@zerogrammi.org

distribuzione dello spettacolo

proiezione del film

progetto di comunità

produzione@zerogrammi.org

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