top of page
IL FILM_ELEGìA DELLE COSE PERDUTE

STEFANO MAZZOTTA // ZEROGRAMMI

IL FILM_ELEGìA DELLE COSE PERDUTE

  • TRAMA


    Non sono niente.

    Non sarò mai niente.

    Non posso voler essere niente.

    A parte ciò, ho in me tutti i sogni del mondo.

    Fernando Pessoa


    Una Sardegna ispida e polverosa. Una danza rocciosa come le montagne, spoglia come i rami secchi degli alberi e gli arbusti arsi da un sole abbacinante. Il tempo logora le architetture e spopola i borghi. Scalfisce i muri, da cui si staccano calcinacci ingialliti. Scrosta infissi e serramenti. Il tempo è polvere. Si accumula nelle case vuote. Si sedimenta sugli oggetti fossilizzandoli. Il tempo è un sasso nelle mani di un anziano, levigato dagli elementi. (...) Il crepitio dei passi. Il fruscio delle scarpe sul selciato. Il fragore secco della terra dissodata da una vanga. Il vibrare caldo delle corde della chitarra. Lo stridore avvolgente dell’archetto sulle corde di viole e violini. Una danza lenta e sofferta. Il sogno di un pazzo. Il delirio di un clown. Il dolore sconnesso di una donna vestita di nero. Figure dall’incedere meccanico, dallo sguardo assente come i personaggi di Kantor, perennemente sul crinale tra vita e morte. Il pianto. Una nostalgia muta, che fuoriesce attraverso il corpo, con coreografie anchilosate fatte di spasimi e sincopi. Il paesaggio nuragico della Sardegna è orizzonte inaridito e abbandonato. In questa terra delle anime desolate la telecamera rimane ferma. Ci consegna un romanzo fotografico a quadri. La tavolozza dei colori è tenue. I piani lunghi e lunghissimi si stagliano su un orizzonte drammatico tanto più inquieto quanto più in contrasto con la luminosità di questo Sud mediterraneo, rupestre, preistorico. L’occhio fermo, frontale, della macchina da presa, indaga i colori e ne lascia inalterato il mistero. Il mare delle cinque del mattino. Il vento dirompente di un ferragosto riarso. Queste creature appartengono alla morte. Annusano la propria decomposizione. Ma non sanno razionalizzarla. Non trovano requie. Un senso d’esilio pervade le coreografie di personaggi irrelati, irrisolti, che trovano un’idea di vicinanza e di comunità al contatto con l’acqua, sinonimo d’annegamento, allegoria di naufragio, invito all’attraversamento, simbolo di rinascita. Il mare fa tutt’uno della vita e della morte. Avvia la risurrezione di corpi fermi come le inquadrature, dopo un’ultima cena dove anche il cibo è celebrazione dell’assenza. Costumi e oggetti antichi. Tutto è fisso: il dolore, gli sguardi, i ricordi, la danza. Donne smarrite ed esiliate. Uomini disarticolati e disintegrati. Tutti hanno un lutto da elaborare. Piangono le cose le persone, sé stessi. Sono zombie nella penombra. Celebrano il proprio funerale prima di scavarsi la fossa con le proprie mani. Stefano Mazzotta, scuole Koreja e Paolo Grassi, artista multimediale in assiduità con il “terzo teatro”, interseca danza coreutica, letteratura, fotografia e arti plastiche. E trova il pharmakon nella ferita stessa. I danzatori metabolizzano la propria morte quando ne diventano coscienti. La superano nella coralità che conforta il dolore. Danno forma a una danza unanime, dove coesistono magia e follia. Un naufragio in un Sud ancestrale. Un viaggio che ricorda “Miracolo a Milano”, ma anche il sogno di un matto in “Train de vie”. Paesaggi panoramici e umani alla Isabel Allende. Volti segnati dal logorio della vita. Primissimi piani e panoramiche alla Sergio Leone. Il trito “Valzer n° 2” di Shostakovich avvia una danza corale spigolosa, ancora più suggestiva perché inquadrata dall’alto. Svasata. Mai a tempo con la musica. Ed è proprio nel dinamismo che ne deriva che fa capolino il riscatto di questo Sud rurale e selvatico refrattario ai percorsi turistici, come araba Fenice pronto a risorgere dalle proprie ceneri.
    Un inno alla vita che non sconfessa la morte. “Elegia delle cose perdute” è un fiume di lacrime, di grida, di mistero. L’onda nuvolosa mette a nudo le radici più profonde. Il torrente porta con sé sventure e risa; senza posa, trascina questa terra umana verso una spiaggia dove le mani squallide di chi ha sofferto trovano finalmente la mano che le sostiene. Dove gli occhi dei poveri, che ne hanno abbastanza di piangere, si stupiscono all’alba eterna, dove il sogno diventa realtà.

    da una recensione di Vincenzo Sardelli per KLP



    UNA GENESI


    Ispirato a Os pobres, romanzo aspro e doloroso dello scrittore e storico portoghese Raul Brandão, Elegìa delle cose perdute è un articolato progetto coreografico che ha impegnato la compagnia Zerogrammi lungo tre anni di processo artistico ospite, in Sardegna, del programma di residenze Artisti nei territori / Interconnessioni. Nell'articolata traiettoria creativa che ha condotto alla creazione la compagnia, seguendo una modalità di lavoro consolidata negli anni, ha interrogato territori, contesti e linguaggi diversi collezionando un archivio vivo di materiali e testimonianze che hanno nutrito il corpo danzante con segni e ispirazioni non solo di natura coreutica ma provenienti da vocabolari altri (arti plastiche, video, fotografia, letteratura) e da un’esperienza del mondo che si sostanzia nella relazione con luoghi e persone fuori dai contenitori convenzionali del teatro. Ne sono nate quattro differenti declinazioni, l’una interconnessa all’altra: nell’ordine un pluripremiato mediometraggio, uno spettacolo, un libro fotografico arricchito da un testo inedito di Eugenio Barba e infine un progetto di comunità che, accompagnando la fruizione dello spettacolo, prosegue e moltiplica il dialogo con sempre nuovi territori e comunità. (+ INFO SUL PROGETTO)



    RIFERIMENTI


    In un mondo oltremodo cupo, fatto essenzialmente di rassegnazione e disagio, di domande esistenziali insolute ed estrema deprivazione, i personaggi del romanzo di Brandão, segregati all’interno della miseria più nera come i detenuti di quel carcere che sembra essere la vita, mettono in scena una lenta processione di riflessioni amare dalle quali trarre infine una legge generale che regola il caduco tragitto dell’uomo: i vivi non hanno altro scopo che morire e infine diventare humus, concime a nutrimento dei vermi e della Terra che nonostante tutto continua a girare. Scritto nel Portogallo dell’inizio del Novecento, una nazione alle prese con l’inevitabile fallimento del suo progetto coloniale, con le conseguenze di una pauperizzazione interna sempre crescente e con il disfacimento dei bei progetti della moderna urbanizzazione, I poveri è un romanzo aspro e doloroso che non lascia spazio ai buoni sentimenti né ai desideri di salvezza: gli uomini sono dannati, i poveri soprattutto, i più indigenti; sono abitanti delle latebre che stanno fuori, all’aria aperta di un cielo che pesa come un coperchio, e di quelle che stanno dentro, nell’animo di ognuno.


    Segua la vita il suo corso splendido. Sa di sogno e di ferro. È tenerezza, disgrazia, disperazione. Ci prende, ci trascina, ci spinge, ci riempie di illusione, ci disperde per ogni angolo del globo. Ci ammacca. Ci solleva. Ci stordisce. Ci protegge. Ci infradicia nello stesso vortice di fango. Ci uccide. Però, anche solo per un momento, ci obbliga a guardare in alto e fino alla fine rimaniamo con gli occhi intontiti.
    Raul Brandao

  • una riscrittura da / a rewrite from Os Pobres di / by Raul Brandao | soggetto, regia e coreografie / project, direction and choreographies Stefano Mazzotta | co-regia / co-direction Massimo Gasole | progetto realizzato con il contributo di / project realized with the contribution of Interconnessioni (residenze artistiche in Sardegna – direzione Simonetta Pusceddu / Tersicorea - ai sensi dell’intesa Stato-Regioni sancita il 21.09.2017 e in attuazione dell’articolo 43 del D.M. 27.07.2017) | creato con e interpretato da / created with and interpreted by Alessio Rundeddu, Amina Amici, Damien Camunez, Gabriel Bedoes, Manuel Martin, Miriam Cinieri, Lucrezia Maimone, Simone Zambelli | e con / and with Sara Angius, Elisa Zedda | con la partecipazione speciale di / special guests Antonio Piovanelli, Bonaria Ghidoni, Loredana Parrella | collaborazione alla drammaturgia / collaboration to the dramaturgy Fabio Chiriatti, Anthony Mathieu | operatori di ripresa / camera operators Massimo Gasole, Damiano Picciau | riprese aeree / aerial shots Alberto Masala | montaggio / editing Massimo Gasole | foley soundesign, mix audio Emanuele Pusceddu | color grading e direttore della fotografia / color grading and director of photography Damiano Picciau | trucco e parrucco / make up Federica Li | costumi e scene / costumes and sets Stefano Mazzotta | luci / lights Tommaso Contu | segreteria di produzione / production assistant Maria Elisa Carzedda | produzione / production Zerogrammi | in collaborazione con / in collaboration with Tersicorea_Officina delle arti sceniche, Illador Films, Casa Luft, Arca del tempo, Festival Danza Estate, C.ie La meme balle, La nave del duende | con il contributo di / with the contribution of Twain _ periferie artistiche_centro di residenza della Regione Lazio | con il sostegno di / with the support of Mic, Regione autonoma della Sardegna, Regione Piemonte, Fondazione di Sardegna, Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Cagliari e le provincie di Oristano e Sud Sardegna, Comune di Settimo San Pietro, Comune di Selargius, Comune di Quartucciu, Ce.D.A.C Sardegna_circuito multidisciplinare dello spettacolo dal vivo | luoghi / locations Galleria Rifugio Don Bosco_sec. XVIII (Cagliari), Casa Baldussi (Settimo San Pietro), Casa Pilleri (Settimo San Pietro), Casa Comunale Dessy (Settimo San Pietro), Casa privata Dessy (Settimo San Pietro), Stagno di Sal’e Porcu (Oristano), Spiaggia di Kal’e Moru (Geremeas/Quartu Sant’Elena), Parco Archeologico Cuccuru Nuraxi (Settimo San Pietro), Casa campidanese Zuddas di Angelo e Sara Fadelli (Dolianova) | un ringraziamento a / thanks to Elisabetta Milia, Alessandro Baldussi, Sandro Perra, Raffaele Lai, Angelo e Sara Fadelli, Salvatore Medda, Valentina Tibaldi, Silvia Battaglio, Cooperativa Specus, Cooperativa Bios

  • Festival Conformazioni // Michele Pecorino intervista Stefano Mazzotta per il suo film "Elegìa delle cose perdute"
    VIDEO
    Festival Conformazioni // Michele Pecorino intervista Stefano Mazzotta per il suo film "Elegìa delle cose perdute"
    ELEGìA DELLE COSE PERDUTE // teaser indoor
    VIDEO
    ELEGìA DELLE COSE PERDUTE // teaser indoor
    Elegy Of Lost Things Short Film // Audience Feedback from March 2022 Experimental Film Festival
    VIDEO
    Elegy Of Lost Things Short Film // Audience Feedback from March 2022 Experimental Film Festival
    ELEGìA DELLE COSE PERDUTE // behind the scenes
    VIDEO
    ELEGìA DELLE COSE PERDUTE // behind the scenes
    ELEGIA DELLE COSE PERDUTE // IN SCENA
    FOTO
    ELEGIA DELLE COSE PERDUTE // IN SCENA
    PH. S. MAZZOTTA, R. CARBONI, R. CECCHINI, U. DOLCINI, F. ZEDDA, A. COVA, F. FALEO, G. SAVANT, G. CASAMENTI, C. MAMMANA
    ELEGIA // SARDEGNA 2020
    FOTO
    ELEGIA // SARDEGNA 2020
    PH. S. MAZZOTTA
    ELEGìA DELLE COSE PERDUTE // trailer film
    VIDEO
    ELEGìA DELLE COSE PERDUTE // trailer film
    INTERCONNESSIONI 2020 // docufilm
    VIDEO
    INTERCONNESSIONI 2020 // docufilm
    ELEGìA DELLE COSE PERDUTE // behind the scenes (sottotitolato)
    VIDEO
    ELEGìA DELLE COSE PERDUTE // behind the scenes (sottotitolato)
    RESIDENZE ARTISTICHE INTERCONNESSIONI 2020 | ELEGIA DELLE COSE PERDUTE // intervista a Stefano Mazzotta
    VIDEO
    RESIDENZE ARTISTICHE INTERCONNESSIONI 2020 | ELEGIA DELLE COSE PERDUTE // intervista a Stefano Mazzotta
    ELEGIA // TUSCANIA 2019
    FOTO
    ELEGIA // TUSCANIA 2019
    PH. S. MAZZOTTA
    INTERCONNESSIONI 2019 // una residenza artistica per Zerogrammi/Elegìa delle cose perdute
    VIDEO
    INTERCONNESSIONI 2019 // una residenza artistica per Zerogrammi/Elegìa delle cose perdute
    ELEGìA // MAKING OF
    FOTO
    ELEGìA // MAKING OF
    PH. A. MATHIEU
    INTERCONNESSIONI 2018 // docufilm
    VIDEO
    INTERCONNESSIONI 2018 // docufilm
  • (...) Opera di grande maturità estetica.

    Stefano Tomassini | Artribune


    Il cielo, il sole, la luna, le case all’imbrunire, i piedi inquadrati mentre passano sempre davanti alle stesse porte, la donna che piange , le danze collettive animano dall’interno un paesaggio pieno di bellezza quanto lontano da estetismi di maniera: un montaggio figlio del corpo narrante.

    Francesca Pedroni | Il Manifesto


    It’s a masterful piece, having the structure of a dance film without spoken words, and also of a narrative feature film inspired by Os Pobres, a novel by Rau Brandäo. We find feelings of exile, loss, decadence, remembrance, nostalgia, even humor. Dance theater is emotively interpreted, reminding of Pina Bausch’s taste. The photographs and images are composed in a very fine artistically way, making definitely a grand scale classic Italian film.

    The Giury | Riff Festival Norway 2022


    (...) Out of all 29 films, the highlight of this year’s PDFF is the Italian film Elegy of Lost Things, a stunning 48-minute art piece depicting life in a rural town. Inspired by Portuguese author Raul Brandão’s novel Os Pobres (The Poor), director Stefano Mazzotta delivers a portrait of morality, estrangement, sociopolitical consideration, and realism. The 48-minute-long film views like an arthaus flick and delivers stunning performances in both dance and acting from the cast. The choreography is as wonderfully subtle and asymetrical as the shot choices and the coloring, which adds a realistic sun-bleached haze over the quietly riveting story. Elegy of Lost Things is impeccable in its versatility.

    Amy Leona Havin | OREGON ARTSWATCH


    (…) Una danza lenta e sofferta. Il sogno di un pazzo. Il delirio di un clown. Il dolore sconnesso di una donna vestita di nero. Figure dall’incedere meccanico, dallo sguardo assente come i pesonaggi di Kantor, perennemente sul crinale tra vita e morte. (…) Stefano Mazzotta, scuole Koreja e Paolo Grassi, artista multimediale in assiduità con il “terzo teatro”, interseca danza coreutica, letteratura, fotografia e arti plastiche. E trova il pharmakon nella ferita stessa. I danzatori metabolizzano la propria morte quando ne diventano coscienti. La superano nella coralità che conforta il dolore. Danno forma a una danza unanime, dove coesistono magia e follia. Un naufragio in un Sud ancestrale. Un viaggio che ricorda “Miracolo a Milano”, ma anche il sogno di un matto in “Train de vie”.

    Vincenzo Sardelli | KLP



bottom of page