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E sull’oggi restiamo per l’atteso debutto di Commosse geografie – Capitolo 1 terracarne a cura di Stefano Mazzotta, regista e coreografo della compagnia Zerogrammi, chiamato a guidare Amina Amici, Cecilia Ventriglia, Chiara Michelini, Daria Menichetti, Eleonora Chiocchini e Sara Orselli: le prime allieve che Valentina Romito ha formato. Per questo atteso debutto ci spostiamo nel chiostro dove lo spazio scenico è stato allestito da un palco con sedie intorno. In scena, mentre scende la sera, si staglia al centro un tavolo, con sopra una candela e un pezzo di pane. Sono gli elementi simbolo del tepore domestico, dove relazioni familiari, racconti e segreti si saldano solitamente attorno a un tavolo. È infatti andando e venendo da questo centro attrattivo che le cinque danzatrici iniziano a snocciolare memorie antiche. Ognuna è portatrice di una storia, un segreto, ma anche di giochi e amori che diventano tracce di memorie lontane, quelle che segnano l’esistenza di queste piccole donne. Il mondo della letteratura femminile si schiude davanti ai nostri occhi: l’immaginazione, nell’osservare la squisitezza del gesto, puntuale e individuale, sobrio ma mai enfatico, serve alla costruzione del flusso coreografico.
Possiamo leggere infatti le vicende delle protagoniste di Piccole donne di Louisa May Alcott, o la potenza de La casa di Bernarda Alba di una madre padrona nel capolavoro di Federico Garcia Lorca, ma anche certe atmosfere di tanto cinema di Pedro Almodovar. Insomma, il potenziale espressivo e coreografico di Commosse geografie risiede nel materiale autobiografico delle singole danzatrici che suggerisce un immaginario ricchissimo di archetipi femminili. Lo vediamo dalla gestualità delle mani che si muovono in una sorta di danza che richiama ritualità antiche. Sono mani che accarezzano, cullano, curano, mani che pregano e sostengono in segno di una sorellanza; oppure mani da leggere come facevano le antiche fattucchiere riportandoci nell’arcaico matriarcato del sud Italia. E questo, non solo perché scopriamo che il lavoro si è lasciato ispirare da La restanza, il bel saggio dell’antropologo Vito Teti, ma soprattutto perché è costruito sul ritorno del corpo che rivisita certi paesaggi interiori, ritrova i resti di ricordi filtrati e sedimentati.
Il lavoro di coesione coreografica condotto da Stefano Mazzotta punta su queste restanze, per l’appunto, di movimenti o di sguardi condivisi. Mazzotta invita a rifrequentarli e riattraversali con il corpo, come quando il gesto che scaturisce dall’anca contagia tutte in una coralità che si propaga nello spazio, liberando dinamiche che approdano su racconti singoli. Commosse geografie lascia allo sguardo storie sull’abbandono, sulla solitudine, il rifiuto, le assenze, sul bisogno di raccontarsi e ritrovarsi a dispetto di un tempo che ha mutato volti, sogni e speranze ma non il desiderio di stare insieme. Le briciole di pane, simbolo di nutrimento primario e puro, che a fine spettacolo vengono sparse, sono il segno di una via da non perdere mai, quella della strada verso casa; lì dove ritrovare la bellezza nell’unione.
di Cristina Squartecchia / PAC / 24.07.2024
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