CONTEMPORANE* A CHI?
di Zerogrammi

 

Alice: “Per quanto tempo è per sempre?”
Bianconiglio: “A volte, solo un secondo”.
(Lewis Carrol – Alice nel Paese delle Meraviglie)


​Una vita si riassume in due righe, si sintetizza in due o tre fatti. Se la vita fosse solo questo non varrebbe la pena viverla. La vita è molto più grande per il sogno che per la realtà. Per quel che sospettiamo più che per quel che conosciamo. Se ci accontentiamo della superficie, non c'è nulla di più stupido, se ci fermiamo a contemplarla, dà il capogiro.
(R. Brandao)

 
Dire contemporaneo non basta. Dire che accade ora non mi dice abbastanza. Dire che comunque accade, che accade  nel mezzo di, nonostante, insieme a non accompagna in nessun luogo nuovo o familiare. L'anatomia di un pensiero, che pure affiora nell'istante presente, si compone della sua storia e delle sue aspirazioni. Contemporaneo a chi? A cosa? Dire adesso non esprime direzione. Sembra piuttosto una sosta persuasa di muovere, in circolo sul mio piccolo baricentro. Sono presente a me stesso se non conosco dove e/o quando sono nella mappa del mio passare? Ciò che accade ora, quando non ha familiarità con le ragioni della sua nascita, dove sta andando? Contemporaneo che genere è? Che estetica/estetiche è? Che luogo/luoghi è? Vuole forse esprimere il vuoto che siamo noi tutti un po’. Vuole forse dire la mia transitorietà? Rispetto a che? A differenza di che? Dire contemporaneo non mi dice nulla di chi sono, né dove, né quando, né perchè. Mi dispensa dal sapere, dal conoscere, dal dedurre, dal prendere posizione, dall'intraprendere una strada, una traiettoria. Perchè, senza un prima e un dopo, ora è vuoto persino di vuoto: una moltiplicazione di parole e movimenti vuoti del proprio tempo e privi di domanda. Un movimento che nega il precedente e così via cancellando all’infinito. Un luogo isolato al mondo e non già una stazione di posta tra territori. Vuole forse dire che non finisce? Giacchè tutto ciò che posso vedere è sempre contemporaneo. Ma se non finisce, neanche inizia. Se non finisce lascia impronte tutte uguali, tutte equidistanti, una davanti all’altra, lo stesso peso, non mai un’incertezza, una caduta, una domanda, una sosta per riflettere, per progettare, per fare silenzio, per guardarsi negli occhi, per riconoscersi. Un moto che affiora indistinto nella prima forma che gli capita, non mai scelto, non mai soppesato nella giustezza della sua urgenza e della sua manifestazione e direzione, del suo interlocutore. Come parlare senza guardarsi negli occhi e neanche attendersi una risposta, perchè il momento è gia passato. E già sono nel successivo, ugualmente informe e sordo.
Può oggi, in questo momento, l'atto narrativo che io sono, che noi tutti siamo, sottrarsi al suo tempo o al racconto di un luogo passato o di un tempo sognato che potrà venire? Cosa ci muove ora? In quale e per quale tempo stiamo agendo. Tempo è maturare della percezione e della conoscenza e spinta verso il mio migliore futuro. Tempo è lo spazio che mi separa dall'orizzonte, un luogo di la da venire, non misurabile di desideri, sogni, speranze, domande. L’unico luogo dove posso essere è una contropartita, per ogni direzione una direzione opposta sempre. L'unico tempo dove sono certo di essere è già passato. L’unica bellezza che io possa raggiungere già non appartiene al presente ma vi sosta impaziente per un secondo soltanto poiché può solo essere catturata da un fuori tempo e fuori luogo. Quale sogno adesso?