PER
UN
TEATRO
DEL
CORPO
Zerogrammi è quel particolare stato di grazia che ci permette di vedere le cose (dalle più semplici alle più complesse) per quello che sono, finalmente intellegibili, rivelarsi nella loro forma più elementare, con un peso pari a zero, come il verso di una poesia, come musica, semplici e chiare, leggere ma indelebili, come certi amori incondizionati e gratuiti. Quando questo stato si realizza, le cose del mondo diventano chiare, e il sentimento che deriva dal contatto con esse non ha più bisogno di parafrasi ridondanti, esemplificazioni, per essere comunicato. Perchè, già ridotto ai minimi termini, tocca senza passare per la ragione, suonando le corde di un sentimento universale che tutti ci accomuna di fronte all’assoluto. Così desidero il rapporto con lo spettatore: simile a quel sentimento di comprensione e appartenenza che percepiamo di fronte al verso di una poesia, semplice e astratta pur nella sua complessità e concretezza.
Accade spesso che il linguaggio coreografico contemporaneo trascenda la narrazione, e che ci proietti in uno stato interrogativo dove ci sentiamo privi delle conoscenze necessarie alla sua comprensione. Una comprensione che pare riservata a quei pochi intenditori capaci di coglierne meccanismi ritmici, retorici, metrici.
Come coreografo sento il dovere di far chiarezza sullo scopo del mio fare ed abbracciare un senso cui possa partecipare ognuno dei miei interlocutori, senza temere la semplicità e quella leggerezza calviniana che è moderazione, calcolo, serietà, parsimonia, concentrazione, lavoro. Non è forse questo lo scopo di ogni forma di linguaggio?
Non una danza che sembri strabordare di chiavi di lettura e significati da rincorrere, ma una danza che possa ambire a una retorica limpida, chiara. Quella del racconto, della narrazione come anche quella della forma e del colore, la poetica dello spazio e del tempo, di una goccia d'acqua, di una foglia che cade o di un uovo al tegamino. La poetica che si nasconde, non espressa, non svelata, dietro timide, piccole, circoscritte azioni umane nelle quali il nostro interlocutore possa riconoscersi con facilità, aprendosi a uno spazio di dialogo e scambio che generi sempre nuovi punti di vista che abbiano il valore di incrinarci, esporci, cambiarci permeando la nostra identità.
La danza, che per sua natura si apre a un ventaglio di interpretazioni più ampio di quello suggerito dalla parola, adagiandosi su questa sua innata qualità, corre spesso il rischio di non dire niente, o ancora si perde nella moltitudine dei significati presumendo un impegno comunicativo che a posteriori rimane non realizzato (lasciando allo spettatore grandi e indistricabili punti interrogativi) o, ancor più grave condizione, è corrotta dall’interno quando, riflettendo sé stessa, perde nel percorso, incidentalmente e coscientemente, la necessità comunicativa, l’urgenza, infine reputando sufficiente il come, trascurando inesorabilmente il cosa.